Vinodivite

Cinqueterre 2007 – FORLINI CAPPELLINI

Pennellate di mare e cielo e quei 5 promontori, 5 terre, di una bellezza senza tempo, un campanile, forse quello della chiesa di San Lorenzo in Manarola, e un asino, carico di botti; già perché in questa parte d’Italia il mulo è stato, è e sarà fedele alleato dell’uomo per ogni evenienza quotidiana, quando la terra sale di colpo dal fondo del mare ergendosi prepotente dominando sentieri e raccolti, vigne e frutteti, laddove l’uomo non riesce si aiuta con la soma fidata di un asinello, poi crea terrazzamenti e disegna monorotaie e ci appoggia trenini da carico. Siamo a Manarola quindi, una delle 5 pennellate di questo affresco, che solo la natura poteva realizzare, i protagonisti della storia sono Germana Forlini e Alberto Cappellini, vignaioli vecchio stampo che tirano avanti una realtà vitivinicola piccola ma immensamente grande e preziosa, un ettaro di terra dal dislivello inaudito, che produce nemmeno 9000 bottiglie l’anno; in questi vigneti alcuni dei quali vecchi quasi 70 anni, inerpicati tra il blu del mare e l’azzurro del cielo, sopravvivono viti eroiche, e vignaioli eroici. Alberto cura le sue piante come si faceva 100 anni fa, laddove il paesaggio non prevede meccanizzazione la figura del vignaiolo è ancora più fondamentale che altrove, il vero legante tra la terra e il futto. Il suo Cinqueterre Doc nasce dall’unione delle uve di 3 vitigni autoctoni, Bosco, Vermentino e Albarola, con prevalenza di Bosco, provenienti sia da viti vecchie di anche 70 anni sia da ceppi più giovani, raccolte a Settembre e vinificate in bianco e maturate in acciaio poi qualche mese in bottiglia.
Ne nasce un vino che profuma di Mediterraneo, che ha impressa in se ogni sensazione della costiera, ogni grammo d’aria marina, ogni frammento di sabbia e scheletro dei terreni.

L’età avanzata della bottiglia in esame ha donato al vino un’accesa tonalità giallo dorata, ma non c’è un minimo segno di ossidazione o appesantimento alcuno; tuffandoci nel bicchiere le sensazioni olfattive percepite sono molteplici e complesse, si evolvono pian piano partendo da note intense iniziali dove predomina l’idrocarburo e lo zolfo di una pietra focaia che si sgretola gradualmente sotto l’infrangersi di onde saline e brezze iodate, via via si rincorrono sensazioni che profumano di mare, florealità di ginestra, di amaricanti erbe mediterranee, rosmarino, menta, salvia, basilico, poi il naso acquisisce aciditá fruttate d’agrumi nitidi e bellissimi, ora delicate di mandarino e clementine, ora più pungenti di cedro e pompelmo, poi ancora frutta con note odorose di mela e gentile pesca bianca.
Anche al palato la minerale sapiditá è la base di tutto e da essa si allargano sensazioni gustative fluide e dinamiche quasi tridimensionali dove la componente salina, quella agrumata e quella rocciosa di pietra bagnata costituiscono la struttura base dove cresce una macchia mediterranea affascinante, le erbe selvatiche e il loro caratteristico amarognolo, le sensazioni resinose di pino silvestre e le sue atmosfere balsamiche.
Il sorso è si fresco, dinamico, con bella spalla acida che aiuta, ma sa essere un bianco per nulla semplice e scontato, anzi appare quasi masticabile, denso, ricco di macerazione e amaritudini erbacee, e tensioni saline concrete che sembrano depositarsi e appesantire minimamente il sorso, ma basta una minima vibrazione che incontra il palato a farlo volare dal fondo del mare, su per quelle coste, per quei vigneti, saltando di terrazzo in terrazzo, su per quelle terre, verso l’infinito.